Mafia di Agrigento: chi comanda?

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Le ultime notizie certe sulla galassia criminale della mafia agrigentina sono ferme all’aprile del 2022 con la pubblicazione della relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia.

Per avere altre notizie certe bisogna ricorrere all’inchiesta “Xydy” del febbraio 2020 o arrivare al gennaio 2021 con l’operazione “Oro bianco”. Le due operazioni antimafia sono ampiamente richiamate nella relazione semestrale della Dia che, riassumendo, afferma:

“Nella provincia di Agrigento è ormai assodata la presenza di Cosa nostra e della Stidda. Si tratta di due realtà mafiose distinte e entrambe storicamente radicate nel territorio che hanno raggiunto un livello di convivenza finalizzato alla risoluzione di problematiche comuni, nonché alla individuazione e alla spartizione delle attività criminali da perpetrare sul territorio di competenza. In alcuni comuni della provincia girgentina inoltre risulterebbero essere attivi gruppi su base familiare quali le famigghiedde e i paracchi che agiscono secondo le tipiche logiche mafiose non contrapponendosi a Cosa nostra e alle consorterie stiddare e addirittura agendo spesso d’intesa con le stesse o in ruoli di cooperazione ovvero subalternità. Al riguardo appare significativa l’operazione “Oro bianco” che ha accertato l’operatività del paracco di Palma di Montechiaro. Giova evidenziare che il provvedimento in parola si sofferma sull’aspetto dell’indipendenza del paracco definendolo come un gruppo criminale che “…presenta tutte le caratteristiche tipiche di una associazione a delinquere di stampo mafioso, distinta ed autonoma rispetto all’associazione cosa nostra”.

In particolare l’indagine ha consentito di evidenziare la struttura organizzativa della consorteria suddivisa nei distinti ruoli di capo, vice capo, capo consiglio, capogruppo, capodecina e soldati. Oltre a documentare i rapporti diretti con gruppi criminali calabresi e cosa nostra palermitana per l’approvvigionamento dello stupefacente. La struttura di cosa nostra agrigentina tuttora suddivisa in sette mandamenti nel cui ambito opererebbero 42 famiglie ha fatto registrare alcune variazioni emerse da una recente attività investigativa che ha documentato il “transito” della famiglia mafiosa di Licata dal mandamento di Palma di Montechiaro a quello di Canicattì.

In seno alla realtà criminale della provincia agrigentina Cosa nostra continua a rivestire un ruolo di supremazia evidenziando un’organizzazione strutturata in maniera verticistica da sempre ancorata alle tradizionali regole mafiose e in stretta connessione con le omologhe articolazioni mafiose catanesi, nissene, palermitane e trapanesi del resto non disdegnando di intrattenere rapporti anche con realtà criminali “oltre lo Stretto”. Assunto questo confermato, oltre che da pregresse attività investigative anche dagli esiti della citata operazione “Xydy” conclusa il 2 febbraio 2021 e incentrata sul mandamento di Canicattì dalla quale sono emersi “...continui e strettissimi…” contatti tra alcuni esponenti di quel mandamento con sodali di altre province siciliane, finalizzati alla organizzazione e alla gestione di lucrosi affari. Tale aspetto “…offre rinnovata conferma del ruolo fondamentale rivestito delle cosche agrigentine nelle dinamiche dell’intera cosa nostra isolana.”. È stata riscontrata infatti “…una eccezionale ed ininterrotta sequenza di riunioni…” svoltesi nell’arco di circa due anni proprio sul territorio agrigentino “…intrattenute tra esponenti di vertice di cosa nostra, anche appartenenti a province diverse.”. Meeting mafiosi che hanno consentito di “…fotografare con lampante evidenza la perdurante unicità dell’intera associazione mafiosa…” che, nonostante le continue attività repressive susseguitesi nel tempo e le numerose conseguenti condanne inflitte agli appartenenti risulterebbe “…avere mantenuto integra la sua sotterranea capacità di collegamento tra le diverse articolazioni territoriali”. Al riguardo il provvedimento definisce “…davvero impressionante l’efficienza con la quale gli esponenti di vertice delle diverse province mafiose di Agrigento, Trapani, Caltanissetta, Catania e Palermo, riescono a mantenere riservati contatti e ad esprimere la capacità di garantirsi, all’occorrenza, reciproco appoggio in ossequio alla basilare regola associativa della mutua assistenza.”. Nello sviluppo dell’indagine inoltre è emerso che l’“unicità” di cosa nostra siciliana va ben oltre i confini regionali. Essa appare “…a tutt’oggi a tal punto solida da permeare non soltanto le diverse cosche siciliane tra loro ma anche i rapporti tra queste e Cosa nostra statunitense.”. In tale ottica, è stato documentato l’incontro a Favara tra uomini d’onore siciliani e alcuni soggetti ritenuti appartenere alla famiglia mafiosa dei Gambino di New York i quali hanno proposto agli omologhi siciliani “…l’attivazione di una lucrosa ed articolata sinergia criminale transnazionale.”. Infine l’investigazione ha disvelato la “rinnovata” presenza, nell’area territoriale del mandamento di Canicattì della Stidda che risulterebbe “…essersi ricostituita e ricompattata intorno alle figure degli ergastolani semiliberi…omissis…” e proiettatasi in una competizione allo stato pacifica con Cosa nostra soprattutto nel redditizio settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo, con particolare riferimento alla compravendita di partite di uva quindi in seno a uno dei pochi settori produttivi nella provincia di Agrigento.

In tale contesto tuttavia sono emerse pericolose “frizioni” tra esponenti ai vertici del mandamento di Canicattì e alcuni soggetti della criminalità organizzata di matrice stiddara operante a Palma di Montechiaro. Quest’ultimi “…disattendendo le direttive impartitegli dai loro stessi referenti palmesi di Cosa nostra…” hanno compiuto nel tempo una serie continua di azioni di disturbo sul territorio di competenza del mandamento mafioso di Canicattì, al fine di “...affermare il loro personale controllo sulle operazioni di mediazione per la compravendita di partite d’uva.”.

Tali avvenimenti potrebbero nel tempo accentuare le pericolose e sottaciute frizioni tra le organizzazioni in parola. Contrasti potrebbero derivare anche dal ritorno sul territorio d’origine di boss e/o gregari che una volta espiata la pena potrebbero essere intenzionati a riconquistare il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Lo confermano nel tempo alcuni contrasti emersi e che a volte sono sfociati in episodi di violenza. Negli ultimi anni poi si evidenzierebbe sempre più una sorta di “emigrazione criminale” della mafia agrigentina favorita dalla volontà di alcuni soggetti di trasferire i propri interessi illeciti laddove il fenomeno mafioso risulta ancora occulto”.

Il ritorno in attività di boss e gregari

La Dia non usa mezze parole: “Attenti al ritorno sulla piazza di boss e gregari che hanno espiato la pena.

E qui comincia un’altra storia: chi comanda in provincia di Agrigento?

Come è mutata la geografia mafiosa provinciale tenendo conto delle scarcerazioni, delle ultime retate e della morte di conclamati boss come Lillo Lombardozzi di Agrigento, Giuseppe “Simone” Capizzi di Ribera, Giulio Albanese di Porto Empedocle, Giovanni Pollari di Cianciana, Vito Triassi di Siculiana, Domenico Terrasi di Cattolica Eraclea e Totò Dio Gangi di Sciacca?

Proviamo a fare un’analisi approfondita individuando gli eventi che interessano, ossia le scarcerazioni importanti avendo bene in mente la detenzione attuale al 41 bis di Giuseppe Falsone e dell’empedoclino Gerlandino Messina nonché della recente cattura di Lillo Di Caro, boss di Canicattì; Giancarlo Buggea suo compaesano e (forse) suo successore designato; Luigi Boncori di Ravanusa; Giuseppe Sicilia e Gregorio Lombardo di Favara e degli stiddari Antonio Chiazza, Antonio Gallea e Rinallo Santo, questi ultimi operanti nell’area canicattinese.

Liberi, per espiazione pena, sono tornati un paio di esponenti del clan Capizzi di Ribera e Fragapane di Santa Elisabetta. Nel marzo scorso è tornato in libertà Francesco Ribisi, di Palma di Montechiaro, catturato nel giugno 2012 nell’ambito dell’operazione “Nuova cupola”, quella che per volontà del boss di Sambuca, Leo Sutera oggi ristretto nelle patrie galere, ha dato origine alla creazione dell’ottavo mandamento mafioso e che azzerava tutte le decisioni adottate da un altro boss di prima grandezza (anch’esso oggi recluso) vale a dire Giuseppe Falsone. Della medesima operazione va segnalata la scarcerazione, nel 2021, per fine pena di Natale Bianchi ritenuto inserito nella famiglia mafiosa di Agrigento.

Altra scarcerazione eccellente, sempre nel 2021 per espiazione della pena è quella del siculianese Giuseppe Renna, classe 1965, catturato nel 1998 (operazione “Akragas”), ritenuto dagli inquirenti un pezzo da 90. E’ tornato in libertà, da tempo, anche il licatese Giovanni Lauria, “il professore” e consigliori di Peppe Falsone rimasto invischiato nelle indagini Halicon, Assedio e Xydy dopo una condanna per mafia risalente agli anni 2000. Sempre nell’area licatese, gli investigatori danno un peso specifico anche al recente ritorno in libertà di Paolo Greco finito in carcere per usura.

Tutti scarcerati ormai da un anno, per assoluzione, mezza dozzina di personaggi operanti nella zona del Belice e finiti nei guai con l’operazione “Opuntia”.

Da due o tre anni sono tornati liberi importanti personaggi coinvolti in delicate inchieste antimafia come il favarese Pasquale Fanara, assolto nel processo “Montagna”; Diego Gioacchino Lo Giudice (processo “Apocalisse”, espiazione pena); l’altro favarese Carmelo Vetro (operazione “Nuova cupola”, fine pena); Gaetano Sedita, di Alessandria della Rocca (fine pena processo “Lisciannira”); Giovanni Derelitto di Burgio (fine pena, processo Scacco matto).

Altro personaggio di spicco del processo Scacco Matto, tornato in libertà per espiazione pena, è Gino Guzzo ritenuto dagli investigatori ai vertici (allora) della mafia  di Montevago e belicina ed in contatto con il boss latitante Matteo Messina Denaro. Fuori dal carcere, per malattia, anche Vincenzo Di Piazza di Casteltermini (operazione “Kamarat”); liberi sono Salvatore Ippolito, già sindaco di Castrofilippo (operazione “Family”, fine pena); Stefano Morreale di Favara (operazione “Camaleonte”); Calogero Sedita di Santo Stefano Quisquina (processo “Montagna”).

Inevitabilmente, alla luce di quanto sinora evidenziato, sia i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che le forze dell’ordine hanno potenziato l’attenzione e individuato nuove strategie investigative per contrastare, giocando d’anticipo, la riorganizzazione delle cosche e delle famiglie mafiose agrigentine, tenendo d’occhio anche le dinamiche legate alle investigazioni riguardanti il super-latitante Matteo Messina Denaro che nel territorio agrigentino ha sempre trovato alleati e rifugi.

Di sicuro Cosa nostra (ma anche la Stidda) nonostante l’inabissamento e l’assenza di episodi eclatanti di criminalità (omicidi, ad esempio) non sta con le mani in mano.

Indispensabile evidenziare come la storia mafiosa della provincia di Agrigento degli ultimi 50 anni è alimentata dagli stessi uomini, legati da vincoli di consanguineità e dalle stesse famiglie mafiose e imparentate. Il fattore umano, la morte e la nascita, gli arresti e le condanne fanno da motore per il ricambio generazionale. (3.9.2022)


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