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La sentenza “Xydi” rilancia la lotta a Cosa nostra

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Con la sentenza odierna riguardante l’inchiesta “Xydi” è stato messo un punto fermo essenziale che riscrive le gerarchie mafiose dell’intera provincia mafiosa di Agrigento ed anche con riguardo fette di Sicilia di pregnante occupazione territoriale ad opera di Cosa nostra.

Cosa cambia rispetto al passato e sino a ieri?

Come si riorganizzerà la potente cosca agrigentina adesso che tutti sanno che per parecchi anni non si potrà contare sul boss dei boss, Calogero “Lillo” Di Caro, seppur ultimamente in fase calante e obiettivo di rampanti competitors che ne volevano la destituzione?

Cominciamo a ragionare partendo dalla sentenza emessa dal  Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, Paolo Magro che ha così distribuito condanne e assoluzioni: Giancarlo Buggea, 20 anni; Angela Porcello, 15 anni e 4 mesi; Giuseppe Grassadonio, 8 mesi; Giuseppe Sicilia, 18 anni, 8 mesi; Calogero Paceco, 8 anni; Simone Castello, 12 anni; Antonino Oliveri, assolto; Diego Cigna, 10 anni e 6 mesi; Gregorio Lombardo, 17 anni e 4 mesi; Luigi Boncori, 20 anni; Giuseppe D’Andrea, 3 anni e 4 mesi; Luigi Carmina, assolto; Gianfranco Gaetani, assolto; Gaetano Lombardo, 3 anni e 4 mesi; Giuseppe Pirrera, assolto; Giovanni Nobile, assolto; Annalisa Lentini, 1 anno e 8 mesi; Vincenzo Di Caro, 1 anno; Giuseppe Giuliana, 8 anni e 8 mesi; Calogero Di Caro, 20 anni.

I personaggi più influenti del mandamento di Canicattì (e sue diramazioni) mafia “nobile” che non ha pari in tutto il territorio agrigentino, hanno subito una disfatta: Giancarlo Buggea, destinato, senza la cattura, a soppiantare Lillo Di Caro, lo stesso Di Caro tra i più importanti boss viventi dell’intera isola; Luigi Boncori che dal suo regno di Ravanusa sosteneva la nuova politica mafiosa di Buggea;  Giuseppe Sicilia divenuto inopinatamente capo della potente famiglia di Favara di cui autorevolissimo esponente è l’odierno condannato Gregorio Lombardo.

Da non sottovalutare la condanna di Simone Castello, già“  postino” del boss corleonese Bernardo Provenzano, detto “Binnu u tratturi” che per gli inquirenti ha rappresentato l’anello di congiunzione tra la mafia siciliana (ed i suoi numerosi esponenti) e i boss del mandamento di Canicattì, tutti protesi, insieme ai clan catanesi, a riorganizzare (e rendere meno vulnerabile) Cosa nostra.

Dal processo che si sta celebrando con il rito ordinario ed ancora non giunto a sentenza (nove, gli imputati e tra gli altri Giuseppe Falsone, Antonino Chiazza; Pietro Fazio; Santo Gioacchino Rinallo, e Antonio Gallea) ci aspettiamo altre risposte con specifico all’organizzazione criminale stiddara.

Adesso, come abbiamo già avuto modo di analizzare in passato, comincia un’altra storia che deve tenere conto dell’odierna sentenza che azzera le possibilità ed anche le speranze di scarcerazione di chi ha realmente comandato in questo territorio e che ora vengono messi da parte per altri lunghi anni. Fuori gioco, per almeno un po’ di tempo, i capi di questa porzione di territorio. A questi vanno aggiunti chi, per sopraggiunta morte, non avranno più modo di agire. Gli esempi più importanti sono:  Lillo Lombardozzi di Agrigento, Giuseppe “Simone” Capizzi di Ribera, Giulio Albanese di Porto Empedocle, Giovanni Pollari di Cianciana, Vito Triassi di Siculiana, Domenico Terrasi di Cattolica Eraclea e Totò Dio Gangi di Sciacca.

Rientrano in gioco, invece, secondo le previsioni degli investigatori antimafia, perché scarcerati: un paio di esponenti del clan Capizzi di Ribera e Fragapane di Santa Elisabetta; nel marzo scorso è tornato in libertà Francesco Ribisi, di Palma di Montechiaro, catturato nel giugno 2012 nell’ambito dell’operazione “Nuova cupola”, quella che per volontà del boss di Sambuca, Leo Sutera oggi ristretto nelle patrie galere, ha dato origine alla creazione dell’ottavo mandamento mafioso e che azzerava tutte le decisioni adottate da un altro boss di prima grandezza (anch’esso oggi recluso) vale a dire Giuseppe Falsone.

Altra scarcerazione eccellente, sempre nel 2021 per espiazione della pena è quella del siculianese Giuseppe Renna, classe 1965, catturato nel 1998 (operazione “Akragas”), ritenuto dagli inquirenti un pezzo da 90. E’ tornato in libertà, da tempo, anche il licatese Giovanni Lauria, “il professore” e consigliori di Peppe Falsone rimasto invischiato nelle indagini Halicon, Assedio e Xydi dopo una condanna per mafia risalente agli anni 2000. Tutti scarcerati ormai da un anno, per assoluzione, mezza dozzina di personaggi operanti nella zona del Belice e finiti nei guai con l’operazione “Opuntia”. Da due o tre anni sono tornati liberi importanti personaggi coinvolti in delicate inchieste antimafia come il favarese Pasquale Fanara, assolto nel processo “Montagna”; Diego Gioacchino Lo Giudice (processo “Apocalisse”, espiazione pena); l’altro favarese Carmelo Vetro (operazione “Nuova cupola”, fine pena); Gaetano Sedita, di Alessandria della Rocca (fine pena, processo “Lisciannira”); Giovanni Derelitto di Burgio (fine pena, processo Scacco matto). Fuori dal carcere, per malattia, anche Vincenzo Di Piazza di Casteltermini (operazione “Kamarat”); liberi sono Salvatore Ippolito, già sindaco di Castrofilippo (operazione “Family”, fine pena); Stefano Morreale di Favara (operazione “Camaleonte”); Calogero Sedita di Santo Stefano Quisquina (processo “Montagna”).

Altro personaggio di sicuro spicco del processo Scacco Matto, tornato in libertà per espiazione pena, è Gino Guzzo ritenuto dagli investigatori ai vertici (allora) della mafia di Montevago e belicina ed in contatto con il boss latitante Matteo Messina Denaro.

Già, Matteo Messina Denaro.

Un filone investigativo dell’inchiesta Xydi porta direttamente a lui. Non a caso, i pubblici ministeri della Dda di Palermo avevano disposto proprio il suo fermo. Ed anche quello dell’avvocato Angela Porcello, figura nuova ed inaspettata del panorama mafioso, ex compagna di quel Giancarlo Buggea, che, intercettato,  affermava di sapere come arrivare a Matteo.

Ecco, si riparte da qui: dai filoni dell’indagine Xydi, due anni fa non compiutamente approfonditi e dalla primula rossa di Castelvetrano.

Sarà la volta buona?

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