La mafia agrigentina e la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Magistrati e forze dell’ordine sono al lavoro dal giorno della cattura dell’ex latitante per ricostruire tutte le tappe della trentennale fuga individuando i luoghi nonché dare un nome ed un volto ai fiancheggiatori, compresa quella “borghesia mafiosa” di cui tanto si parla in questi giorni.
Un dato è assolutamente certo: i clan agrigentini sono stati solidali e operativi garantendo a Messina Denaro protezione e collaborazione.
Ad una nostra precisa domanda il procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Paolo Guido, artefice insieme ai carabinieri del Ros, della cattura del castelvetranese, ha risposto così: “La mafia agrigentina come si evince dalle ultime attività svolte dai militari del Ros ha avuto una grossa quota di responsabilità tanto che Messina Denaro è imputato proprio per questi fatti commessi nel gennaio 2021″.
Il riferimento è all’indagine Xidy che, due anni fa, fece luce sul mandamento mafioso di Canicattì. Un’inchiesta importante, delicatissima, che ha portato in carcere ed alla condanna il gotha mafioso della provincia di Agrigento, in quel momento in preda a fibrillazioni pericolose tese a destituire il boss regnante: Calogero “Lillo” Di Caro, pezzo da 90 di Cosa nostra siciliana e canicattinese.
Le indagini hanno svelato che per procedere alla destituzione di Di Caro, in favore di Giancarlo Buggea, occorreva informare e trovare il consenso proprio di Messina Denaro.
Pista numero 1: Canicattì
Le microspie hanno captato frammenti di conversazioni importanti. Buggea si lascia sfuggire una frase che fa sobbalzare i carabinieri all’ascolto: “So chi lo tiene e come arrivarci”.
E qui comincia un’altra storia, scritta dall’avvocato Angela Porcello, compagna di Buggea anche lei finita in carcere e pesantemente condannata in primo grado a 15 anni e quattro mesi di reclusione.
Per gli inquirenti l’ex legale aveva svolto un ruolo di raccordo tra la mafia canicattinese e quella di altri potenti province, in primis, con quella trapanese divenendo amica della collega Lorenza Guttadauro, avvocato che oggi assiste lo zio Matteo Messina Denaro.
L’avvocato Porcello, che dopo la cattura ha provato a divenire collaboratore di giustizia (non ottenendo tale status per il netto diniego mostrato dai pubblici ministeri della Dda che non ritengono leale e collaborativo il suo percorso) ha reso su Matteo Messina Denaro alcune dichiarazioni che adesso, dopo la cattura del boss, verranno rivalutate e probabilmente integrate con ulteriori interrogatori. Ha affermato la donna che il suo compagno Buggea e Matteo Messina Denaro si conoscevano da oltre sei lustri ed ha conosciuto persino “Mastro Ciccio”, genitore di Matteo ed è stato amico molto stretto di Luca Bellomo, nipote dell’ex primula rossa, marito dell’avvocato Guttadauro.
Continua l’avvocato Porcello nelle sue dichiarazioni ai pubblici ministeri: “Le posso dire che negli anni, per ben tre anni, ho intrattenuto un rapporto amicale e familiare molto stretto con la nipote del Messina Denaro, che è Lorenza Guttadauro. La mamma di questa Lorenza Guttadauro è la sorella del Messina Denaro. Buggea conosceva Messina Denaro, si erano incontrati prima del primo arresto del Buggea nel 2004-2005 quindi prima, quando io non facevo parte della vita del Buggea, si erano incontrati e conosceva bene il padre, credo che lo chiamasse “Don Ciccio” Messina Denaro, se non vado errata, Ciccio o Francesco. Allora, io su Matteo Messina Denaro non ho avuto informazioni che mi potevano andare a localizzarlo né chi erano questi che Buggea, più volte esprimendosi, diceva “ce l’avevano” come se erano persone che lo proteggevano perché l’espressione usata in dialetto nostro corrisponde a “chi ce l’aveva” a chi si occupava della sua latitanza, ne curava gli interessi”.
Tutta questa storia verrà rivista e rivisitata e probabilmente l’avvocato Porcello sarà chiamata a rispondere ad altre domande dei pubblici ministeri.
Pista numero 2: Favara.
L’ultima retata di fiancheggiatori e complici di Messina Denaro è datata settembre 2022, operazione “Eden 7”, con l’arresto di 35 persone, tra cui Francesco Luppino, arrestato già nel 2013 poi scarcerato, ed indicato dagli investigatori come uno dei “fedelissimi” del boss di Castelvetrano e porta direttamente a Favara ed al boss Giuseppe Sicilia.
Nel corso delle indagini sono stati ricostruiti anche rapporti che vanno al di la della provincia di Trapani, con Cosa nostra palermitana, agrigentina e catanese nel cui ambito i mafiosi trapanesi venivano indicati come “quelli che appartengono a Matteo Messina Denaro”.
Questa la ricostruzione degli inquirenti riguardante i rapporti tra Franco Luppino e la famiglia mafiosa di Favara: Le dinamiche interprovinciali di Cosa nostra venivano registrate anche con riferimento ai collegamenti fra la provincia trapanese e quella agrigentina, storicamente una delle più inaccessibili roccaforti della predetta organizzazione criminale e da sempre in stretta e organica connessione con la prima. Anche in questo caso, anello di congiunzione fra le due province era ruolo svolto da Franco Luppino che, nel mese di giugno 2020, conferiva specifico incarico a Piero Di Natale affinché incontrasse e interloquisse con Giuseppe Sicilia. II Sicilia, per inciso, uomo di fiducia del capo della provincia mafiosa di Agrigento Giuseppe Falsone, è stato definitivamente condannato per aver partecipato alla famiglia mafiosa di Favara fino al 2004; scarcerato il 9 dicembre 2014 e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, è stato poi nuovamente arrestato il 2 febbraio 2021 per aver diretto la predetta articolazione mafiosa (operazione Xidy).
Dal 17 ottobre al 9 dicembre 2014 è stato detenuto insieme a Francesco Luppino presso il carcere di Agrigento. Dunque il 4 giugno 2020 Piero Di Natale, in adempimento a quanto disposto da Franco Luppino, si recava a Favara per incontrare una persona che si accerterà essere Giuseppe Sicilia; incontro che, tuttavia, non avveniva per difficoltà organizzative, non potendo i due entrare in contatto diretto. Tre giorni dopo, veniva intercettata una conversazione fra il Di Natale e Antonino Nastasi, nel corso della quale si acquisivano alcuni elementi sulla trasferta a Favara del 4 giugno 2020. In particolare, il Di Natale mostrava al suo interlocutore un biglietto, riferendogli che a scriverlo era stata una persona di cui non veniva fatto il nome ma che, in ragione delle successive acquisizioni, veniva identificata nel capo mafia Franco Luppino
Il 9 giugno 2020 Di Natale si recava nuovamente a Favara ove, all’interno di locale pubblico, incontrava Giuseppe Sicilia, la cui voce veniva intercettata dallo spyware installato nel dispositivo cellulare dello stesso Di Natale; dal dialogo intrattenuto, si comprendeva che quello era il loro primo incontro con la conseguenza quindi che i due, il precedente 4 giugno, non erano riusciti a vedersi. Il Di Natale, ottenuta la disponibilità da parte del titolare dell’esercizio commerciale a custodire il suo dispositivo cellulare – escamotage che non consentiva di registrare il prosieguo della riunione – si allontanava con il Sicilia.
Il 16 giugno 2020 Piero Di Natale prelevava Franco Luppino con la propria autovettura e, insieme, si recavano in un luogo isolato di campagna, ove scendevano dal mezzo preservando così la loro conversazione, evidentemente attinente a vicende delicate, da eventuali captazioni investigative. Il giorno dopo veniva accertata la terza trasferta di Piero Di Natale a Favara.
Anche in questo caso, la riunione fra il Di Natale e il capo mafia di Favara si svolgeva in un esercizio pubblico, ove il primo lasciava il proprio telefono cellulare allontanandosene e dunque impedendo ancora una volta
Venivano registrate solo le ultime battute dei due, e cioè la richiesta del Sicilia di dare un abbraccio a “una persona”, alla luce della dinamica dei fatti, è certamente identificabile in Francesco Luppino (Sicilia: “dagli sempre un abbraccio da parte nostra”); si comprendeva inoltre che fra i due era pendente la trattazione di affare non meglio indicato.
Sulle interlocuzioni con Giuseppe Sicilia, null’altro è stato registrato nei mesi successivi anche tenuto conto che lo stesso Sicilia, il 2 febbraio 2021, è stato sottoposto a Fermo e poi a custodia cautelare nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione Xidy che ha riguardato numerosi capi ed esponenti di Cosa nostra agrigentina.
Pista numero 3: Porto Empedocle
Una riunione organizzata in fretta e furia nel febbraio 2019 a Porto Empedocle tra soggetti di notevole spessore criminale risulta essere uno straordinario elemento investigativo che emerge dall’inchiesta Passepartout, che ha portato al fermo di cinque persone a Sciacca, ma che si inquadra nel più ampio contesto della caccia a Matteo Messina Denaro. Una parte dei suoi interessi sarebbe passata in tempi recentissimi da Porto Empedocle. E’ il 14 febbraio 2019 e i carabinieri del Ros riescono ad immortalare e captare un incontro avvenuto a Porto Empedocle tra Giuseppe “Rocky” Fontana e Fabrizio Messina, fratello dell’ex capo provinciale di Cosa nostra Gerlandino. Insieme a loro c’è anche l’assistente parlamentare Antonello Nicosia, figura chiave dell’inchiesta “Passepartout”. Giuseppe Rocky Fontana, uscito dal carcere dopo quasi vent’anni nel 2013, è considerato l’armiere della famiglia mafiosa di Castelvetrano nonché intimo amico fin da bambino di Matteo Messina Denaro. L’oggetto della conversazione sembrerebbe essere la difficile riscossione di una estorsione dovuta alla famiglia di Castelvetrano ragione per cui Fontana si reca a Porto Empedocle per chiedere conto e ragione a Messina anche perché una parte di quel denaro deve essere consegnata ad un mafioso di Castelvetrano più volte evocato ma mai pronunciato.
Per gli inquirenti non c’è dubbio che il mafioso in questione sia Matteo Messina Denaro. Convinzione questa rafforzata dalla modalità e l’urgenza dell’incontro tale da far violare addirittura gli obblighi della sorveglianza speciale a Fabrizio Messina a cui era ed è sottoposto.
Restano ferme e non per questo nuovamente esplorati dopo la cattura di Messina Denaro, le condotte favoreggiatrici di boss di grande spessore come quelli che hanno agito nella Valle del Belice (versante agrigentino) come Leo Sutera e Pietro Campo e restano ancora tutte da verificare le connivenze, pienamente ipotizzabili, nel territorio che fa capo a Siculiana e ai clan di Montallegro e Cattolica Eraclea.
Pista numero 4: Giuseppe Tuzzolino
Rimane aperta, con qualche distinguo, una pista che porta dritto alla borghesia mafiosa e alla massoneria. E’ una pista che è stata rivelata dall’ex architetto pentito, Giuseppe Tuzzolino che ha rivelato vicende indicibili con accuse ad altissime personalità della politica, imprenditoria, magistratura, economia e “società civile” protesa alla difesa e tutela di Messina Denaro. L’ex procuratore aggiunto Teresa Principato che in Tuzzolino riponeva ampia fiducia indagando a tutto spiano sugli spunti offerti dal professionista. Proprio dopo la cattura di Messina Denaro, il magistrato oggi in pensione non ha esitato un solo momento ad affermare di essere stata bloccata sul più bello, cioè ad un passo dalla cattura del latitante. E sono note le polemiche sorte adesso e in passato.
Di contro ci sono diverse valutazioni sull’attendibilità del pentito Tuzzolino ad opera di più tribunali che hanno dichiarato con pesanti condanne per calunnia la totale inaffidabilità di Tuzzolino.
Un rebus anche questo, non ancora sciolto e forse destinato a rimanere tale.
L'articolo Latitanza MDM e borghesia mafiosa: le piste agrigentine proviene da GrandangoloAgrigento.
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