L'uomo, che in passato è stato accusato (e assolto) di avere minacciato di morte il sindaco creando una pagina Facebook, è stato riconosciuto grazie alle telecamere di sorveglianza e a una testimone
Condannato per l'accusa di avere incendiato il gazebo di un commerciante ambulante di frutta e il portone di un'abitazione: il giudice monocratico del tribunale di Agrigento, Michele Dubini, ha inflitto 10 mesi di reclusione (pena sospesa) al 32enne Giuseppe Li Vecchi, di Siculiana.
Assoluzione, invece, per la madre Carmelina Zambito, 56 anni, finita a processo, oltre che per i due incendi, anche per due ipotesi di violenza e resistenza a pubblico ufficiale.
I fatti contestati ai due imputati (la donna è difesa dall'avvocato Antonino Manto, il figlio dal legale Gianfranco Pilato) risalgono al periodo compreso fra il luglio e il settembre del 2021.
Il 2 luglio e il 7 agosto furono dati alle fiamme il gazebo di un negozio di ortofrutta in via XXV aprile, ad Agrigento, e il portone di casa di una donna, a Siculiana. Le immagini di videosorveglianza, nel caso di Siculiana, e la testimonianza di una ragazza che aveva visto un giovane appiccare un rogo alla struttura commerciale, in quello di Agrigento, fecero ipotizzare agli inquirenti che ad agire era stato Li Vecchi con l'istigazione della madre.
L'accusa, tuttavia, ha retto solo in parte al vaglio del processo, durato un anno, concluso con la condanna del solo Li Vecchi. La donna, inoltre, era accusata di avere opposto resistenza ai carabinieri che, durante un controllo stradale, stavano contestando al figlio di guidare un'auto con un faro rotto.
"Il verbale lo brucio" - avrebbe detto. E poi ancora avrebbe continuato con altre gravi minacce. "Salgo a Raffadali e ti taglio la testa come ho già fatto con un altro carabiniere... poi mi sono andato a vedere il funerale.
La donna, inoltre, era finita a processo per l'accusa di violenza a pubblico ufficiale per avere minacciato di rompere le auto dei carabinieri e fare esplodere la caserma se non avessero dissequestrato il computer e il telefono del figlio che erano stati requisiti nell'ambito di un'indagine in cui era accusato di avere minacciato di morte l'allora sindaco di Siculiana, Leonardo Lauricella, attraverso una pagina Facebook.
Processo che, in appello, si era concluso con la restituzione del materiale sequestrato.
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