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Mafia, verso la sentenza del processo sull’omicidio di Diego Passafiume

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Il processo sull’omicidio di Diego Passafiume, onesto imprenditore di Cianciana ucciso in un agguato mafioso il 22 agosto 1993, è in dirittura d’arrivo. La Corte di Assise di Agrigento, presieduta dal giudice Wilma Angela Mazzara, emetterà la sentenza il prossimo 1 dicembre mettendo così il punto al primo capitolo giudiziario di una dolorosa quanto intricata vicenda. Dopo la requisitoria del pubblico ministero Alessia Sinatra, che ha chiesto l’ergastolo nei confronti di Filippo Sciara, storico esponente della mafia di Siculiana e unico imputato, la parola è passata alla difesa e alla parte civile per le discussioni finali. 

Entrambe le parti hanno illustrato alla Corte le proprie conclusioni, ovviamente diametralmente opposte. La parte civile, rappresentata dagli avvocati Danilo Giracello e Daniela La Novara, si è associata alla richiesta di condanna all’ergastolo avanzata dall’accusa mettendo in risalto una circostanza più unica che rara soprattutto per quanto riguarda gli omicidi di mafia: la presenza di testimoni oculari. Al delitto, infatti, hanno assistito moglie, suocera e cognata della vittima, presenti in auto insieme a Passafiume. Un riscontro straordinario – secondo quanto sostenuto dalla parte civile – confermato dai testimoni al momento dell’agguato, durante le successive e immediate indagini e, soprattutto, trent’anni più tardi nell’aula del tribunale di Agrigento quando la vedova Passafiume puntò il dito verso l’imputato collegato in videoconferenza: “È stato lui ad uccidere mio marito, lo riconosco”. Diametralmente opposta la conclusione della difesa, sostenuta in aula dall’avvocato Carmelo Terranova. Il legale, durante l’arringa durata circa due ore, ha contestato l’intera ricostruzione del delitto e le testimonianze dei familiari della vittima. Per la difesa ci sarebbe più di un dubbio sulla dinamica dell’agguato fornita dai testimoni (in particolare la presenza di un’altra auto affiancata a quella di Passafiume e se i colpi di fucile sono stati esplosi da dentro o fuori l’abitacolo) e sul riconoscimento di Sciara sul luogo del delitto (viene contestata ad esempio una presunta discordanza sull’abbigliamento indossato dal killer). Tutti elementi che adesso saranno valutati dalla Corte di Assise di Agrigento che, il prossimo 1 dicembre, emetterà la sentenza. 

Diego Passafiume viene ucciso il 22 agosto 1993 davanti a moglie, nipote, suocera e due bambini. Era il giorno del suo diciannovesimo anniversario di matrimonio. Un delitto che per venticinque anni è rimasto un vero e proprio cold case. Passafiume si era fermato con la sua Golf in contrada “Ponte padre Vincenzo” per mostrare ai suoi familiari un terreno acquistato da poco, frutto del sacrificio e del duro lavoro, prima di raggiungere casa di un cognato per festeggiare l’anniversario di matrimonio. Una Alfa Romeo 164 affiancò il veicolo dell’imprenditore e una persona armata di fucile sparò almeno tre colpi. Passafiume, reale bersaglio dell’attentato, fu ucciso mentre suocera e nipote rimasero ferite lievemente. Moglie e nipote della vittima, già subito dopo l’omicidio, fornirono importanti e precisi dettagli riconoscendo Filippo Sciara sul luogo del delitto. La svolta arriva il 7 settembre 2018 a distanza di venticinque anni dall’omicidio e dopo ben due archiviazioni: i carabinieri, in una indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, arrestano Sciara. Filippo Sciara è un nome noto nel panorama mafioso agrigentino. Elemento di spicco della famiglia mafiosa di Siculiana, ergastolano, indicato come uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo durante la prigionia trascorsa in almeno quattro covi nella provincia di Agrigento.L’impianto accusatorio si fonda sostanzialmente su due colonne portanti: il riconoscimento dei familiari presenti durante l’agguato e le dichiarazioni del già collaboratore di giustizia Pasquale Salemi che definì il contesto e indicò il boss Giovanni Pollari, storico capomafia di Cianciana deceduto mentre stava scontando l’ergastolo, il mandante del delitto. Diego Passafiume, piccolo e onesto imprenditore del movimento terra, era ritenuto scomodo. Non si era piegato alle regole e alla prepotenza di Cosa nostra. Un appalto che faceva gola a molti, come tanti in quel periodo nella bassa Quisquina, avrebbe poi innescato la micidiale reazione.

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