Sostienici

Aiutaci ha crescere ancora di più, Sostieni siculiananelweb.com

L’omicidio Passafiume: “Mio padre ucciso dalla mafia ma credo ancora nella giustizia”

https://ift.tt/JmA6yVD

Ventidue agosto 1993. Un tragico anniversario. I titoli dei giornali dell’epoca riportavano così la notizia del brutale omicidio di Diego Passafiume, 42 anni, piccolo e onesto imprenditore di Cianciana, ucciso con tre colpi di fucile davanti a moglie, figli e suocera nel giorno in cui stava festeggiando i 19 anni di matrimonio. Un delitto apparso fin da subito complicato. La vittima era incensurata, nessun problema con la giustizia. Anzi, era conosciuto in paese come un onesto lavoratore, sempre col sorriso e ben voluto da tutti. O meglio, quasi tutti. Passafiume si era fermato con la sua Golf in contrada “Ponte padre Vincenzo” per mostrare ai suoi familiari un terreno acquistato da poco, frutto del sacrificio e del duro lavoro, prima di raggiungere casa di un cognato per festeggiare l’anniversario di matrimonio. Nessuno dei presenti poteva immaginare che quegli attimi di spensieratezza sarebbero stati gli ultimi per l’imprenditore e l’inizio di un calvario per un’intera famiglia. Una Alfa Romeo 164 affianca il veicolo di Passafiume, una persona armata di fucile scende e spara diversi colpi. L’imprenditore, reale bersaglio dell’attentato, viene ucciso mentre suocera e cognata vengono ferite lievemente.

Ed è proprio in questo istante che comincia un’altra storia. Una storia caratterizzata dalla paura e dal dolore dei familiari, da poche luci e molte ombre nelle indagini che, seppur incessanti, non sembrano portare a niente. Un rompicapo. Fino al 7 settembre 2018. Venticinque anni dopo l’omicidio, e dopo ben due archiviazioni, arriva la svolta: i carabinieri, in una indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, arrestano Filippo Sciara. Per inquirenti e investigatori è lui ad avere premuto ripetutamente il grilletto contro Diego Passafiume. Filippo Sciara è un nome noto nel panorama mafioso agrigentino. Elemento di spicco della famiglia mafiosa di Siculiana, ergastolano, indicato come uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo durante la prigionia trascorsa in almeno quattro covi nella provincia di Agrigento. Sciara, secondo le indagini, avrebbe agito insieme al boss Giovanni Pollari, storico capomafia di Cianciana, deceduto negli scorsi anni in carcere mentre stava scontando l’ergastolo in regime di 41bis. L’omicidio Passafiume, ricostruito grazie alle indicazioni dei familiari che hanno riconosciuto alcuni album fotografici, altro non è che la sentenza di morte emessa dalla mafia nei confronti di un onesto lavoratore che mai si è piegato alle regole e alla prepotenza di Cosa nostra. Un appalto che faceva gola a molti, come tanti in quel periodo nella bassa Quisquina, avrebbe innescato la micidiale reazione. 

Diego Passafiume, la vittima e Filippo Sciara, l'arrestato,Diego Passafiume, la vittima e Filippo Sciara, l’arrestato,

A distanza di tre decenni da quel giorno Francesco Passafiume, uno dei figli della vittima, ha raccontato a Grandangolo il calvario di un’intera famiglia tra paura, dolore e ricerca incessante di verità e giustizia: “Sono passati 30 lunghi anni dal giorno in cui vidi mio padre ucciso nella sua auto davanti ai miei familiari. Ho ancora una immagine nitida di quegli attimi quando arrivai con il mio motorino circa due minuti dopo l’agguato. Avevo solo 14 anni, mio fratello Gaetano 17. Ho sempre pensato a chi potesse essere stato ad eseguire quell’efferato omicidio e non avevo nessun indizio se non dei ricordi nei tempi precedenti, dove mio padre ebbe a subire degli avvertimenti intimidatori. Lo stesso ci rassicurava con un sorriso amaro,  che non era niente, ma si vedeva che nei suoi occhi regnava la paura. Ogni santo giorno, subito dopo l’omicidio, mi chiedevo chi potesse essere stato il colpevole  e le mie basi di pensiero  erano sempre le stesse: era un uomo buono, era amichevole con tutti, era ricercatissimo per la sua rinomata bravura del mestiere, non tornava mai tardi la sera a casa, era disponibile con tutti a trovare mezzi o pezzi di ricambio dove lui era esperto per passione, non aveva problemi di nessun genere. Chi poteva essere il colpevole?”

Francesco Passafiume, dopo l’omicidio del padre, insieme ai familiari comincia una ossessiva ricerca di prove al fine di ricostruire quanto accaduto: “Mi tornava spesso in mente il perché mio padre da circa un anno e mezzo prima della sua morte facesse molta fatica a trovare lavoro, ad eccezione di spostamenti di massi dalle campagne di un paio di persone che in tutto fruttarono solo 5 giorni di lavoro. La paura era dentro tutti noi, mia madre si rifugiò in una depressione che anno dopo anno è andata a peggiorare. Mio fratello, che tentò di portare avanti la famiglia, subì l’incendio doloso dell’unico mezzo di lavoro e lasciò la Sicilia.” 

Un articolo di giornale e un incontro speciale cambiarono le prospettive di Francesco:Il 24 Agosto 1993 uscì un articolo su La Sicilia del giornalista Franco Castaldo dal titolo “Omicidio Diego Passafiume, voleva un appalto proibito?” Ed in effetti l’intuito del cronista si rivelò fondato proprio come quello degli investigatori dell’Arma dei carabinieri che, nel dare un nesso logico all’omicidio di una persona sconosciuta alla legge, di buona condotta ed incensurato, avesse potuto subire tale atrocità, si concentrarono sulla sfera lavorativa. Nell’estate 1998  lavoravo in un piccolo autolavaggio dove da ragazzino mi guadagnavo qualcosa per vivere vista la situazione economica che attraversava la nostra famiglia dopo la morte di nostro padre. Si presentò in quel posto uno sconosciuto che non sapeva neanche bene il mio cognome, cercandomi in paese come “Fiume”. Mentre lavavo l’auto di un cliente, si avvicinò e mi chiese se fossi il figlio di “Fiume”, quello ucciso. Io risposi “Chi è lei?” Si presentò. Si chiamava Giuseppe Ciminnisi, figlio di una vittima innocente, ucciso dalla mafia in un bar di San Giovanni Gemini. Mi disse che si occupava di aiutare persone nel credere nella giustizia e che, dall’omicidio del padre, non avesse mai smesso di cercare i colpevoli. Restammo in rapporti con Giuseppe, ci scambiammo i numeri di telefono. Grazie alle sue parole negli anni a seguire, e con l’avvento di internet, io e mio fratello abbiamo intrapreso un’intensa ricerca di articoli di giornale, trovando tantissimo materiale. La nostra ricerca della verità ha attraversato ben due archiviazioni in mancanza di riscontri adeguati.”

La famiglia Passafiume, dopo un calvario lungo trent’anni, è adesso in attesa di giustizia. Il boss Filippo Sciara, che ha sempre negato di aver avuto un ruolo nell’omicidio così come nel sequestro del piccolo Di Matteo, è attualmente imputato davanti la Corte di Assise di Agrigento presieduta dal giudice Wilma Angela Mazzara. Il processo è agli sgoccioli e riprenderà a settembre. Francesco Passafiume non ha mai smesso di avere fiducia nelle istituzioni manifestando però qualche rammarico nella fase iniziale delle indagini: “Il nostro percorso di verità è dedicato per amore a nostro padre. Dopo l’omicidio siamo rimasti senza protezione e probabilmente con un identikit preparato fin da subito l’avremmo ottenuta molto tempo prima ma la giustizia non ci ha mai abbandonato.” 

L'articolo L’omicidio Passafiume: “Mio padre ucciso dalla mafia ma credo ancora nella giustizia” proviene da GrandangoloAgrigento.


Originally posted here: https://ift.tt/5u0FD2j

Posta un commento

0 Commenti